LA SETTIMANA SANTA A CAMPOBASSO - di Vincenzo Lombardi

Musica e ritualità fra '800 e '900

Recensione a cura di Giovanni Mascia.

Spesso il caso si diverte con coincidenze curiose, come quella che seguendo strade distinte e autonome ha portato alla pubblicazione quasi contemporanea di due libri dal titolo analogo, imperniati su aspetti di rilevanza assoluta nella vita tradizionale dei nostri paesi nei decenni passati. Il primo è un capolavoro, La Settimana Santa a Santa Croce di Magliano , che da qualche mese ha finalmente visto la luce, grazie all’Amministrazione Comunale di Santa Croce, dopo quasi un secolo dalla morte dell’autore, Raffaele Capriglione, medico munifico, poeta, letterato e disegnatore, che venendo precocemente a mancare nel 1921, ad appena 47 anni, aveva lasciato inedita una vasta produzione letteraria e poetica. Il secondo è un saggio pubblicato in questi giorni da AGR editrice, firmato da Vincenzo Lombardi, La settimana santa a Campobasso , il cui sottotitolo precisa meglio il campo d’indagine, circoscritto a “Musica e ritualità tra ‘800 e ‘900”.
Nonostante i titoli simili, si tratta di due pubblicazioni assai diverse. La “poderosa opera” di Capriglione, caratterizzata da una scrittura potente e originale che tocca tutti i registri espressivi, passando dall'italiano aulico al più degradato eloquio dialettale, palpita della vita tradizionale di Santa Croce di Magliano, assurto a villaggio tipico del Meridione d'Italia a cavallo tra Otto e Novecento.
Illustrato dallo stesso autore con disegni gustosissimi e al tempo stesso energici, il romanzo rivela lo straordinario talento di un artista unico, colto, ironico e compassionevole a un tempo, per proporsi come passaggio obbligato per chiunque s'interessi di lingua, dialetti, letteratura, arte, disegno, storia, storia delle tradizioni, di cultura insomma, e in particolare di pietà popolare e delle connessioni spesso inestricabile tra pietà popolare, liturgia e vita quotidiana in cui era avviluppato il Molise nei decenni passati.
Il saggio di Vincenzo Lombardi, dal canto suo è un’indagine ben condotta su due momenti musicali, caratteristici della liturgia penitenziale della quaresima l’uno, il Settenario, e della processione del venerdì santo l’altro, il Teco vorrei , che solo per comodità icastica possono essere ricondotti genericamente nei riti campobassani della Settimana Santa richiamati dal titolo. Che trattasi di un’analisi specifica, comunque di taglio divulgativo, è provato anche dal capitolo introduttivo, riferito a “La cultura musicale a Campobasso nel XIX secolo”, sia laica che religiosa.
A quel tempo, l’appuntamento popolare che più di ogni altro coinvolgeva emotivamente il campobassano non era la processione del Cristo morto, per la modesta ragione che tale rito non esisteva. Era in uso un’altro rituale che, con motivazioni, orari, percorsi e attori diversi, principiava all’alba del Venerdì Santo per proseguire lungo l’arco della mattinata. I fedeli in processione accompagnavano la statua della Vergine nei cosiddetti “sepolcri”, allestiti chiesa per chiesa, e cantavano il Teco vorrei , assai appropriato nel contesto, e i “Lamenti” della madre in ansia per la sorte del figlio, come è ricordato in tre sonetti di Giuseppe Altobello. Quella pratica religiosa, detta anche processione della Desolata, è ancora in uso in molte città e cittadine del sud Italia, in ore e giorni diversi, a cavallo tra il venerdì e il sabato santo (famosa quella di Canosa di Puglia). A Campobasso, fu soppiantata dalla processione pomeridiana del Cristo morto negli Anni Trenta del secolo scorso. E basterebbe questa circostanza per invogliare il lettore a scoprire nel testo di Lombardi il processo cha ha fatto della processione attuale, in vita da manco un secolo, l’emblema della religiosità, anzi dell’appartenenza cittadina, finendo per ammantarla di suggestioni uniche, ma anche di incrostazioni e luoghi comuni.
Com’è noto, l’imponente processione del Cristo morto è l’atto finale del lungo cammino quaresimale, scandito dalla Via Crucis cantata ogni venerdì sera a Santa Maria della Croce e ogni domenica sera nella Cattedrale, e dal Settenario , una composizione del maestro Michele De Nigris, che risale al 1891 ed è ancora eseguita  nella chiesa di Santa Maria della Croce per sette sere di seguito, dal sabato al venerdì precedente la Domenica delle Palme. Fu chiamata dall’autore “Oh, di Gerico beata” mentre dal popolo è detta in modo strano e sibillino lo “zuchetezù”. Il maestro De Nigris è altresì l’autore del “Teco vorrei”, l’inno su versi dell’introduzione alla Via Crucis del Metastasio, eseguito un tempo dai fedeli che accompagnavano la processione mattutina dell’Addolorata anche con altri canti e, oggi, dal coro di circa settecento elementi, dell’uno e l’altro sesso, come unica colonna sonora della processione del Venerdì Santo per le vie del centro storico e della città murattiana. Un canto struggente di rara potenza, con forte impatto emotivo sia sui coristi che sulla cittadinanza, soggiogata dai toni drammatici della introduzione eseguita dalla banda, dal vigore delle voci, dal lugubre corteo dei cantori, maschi e femmine, tutti rigorosamente vestiti di nero ... 
“Musiche per la Madre, musiche per il Figlio” è la formula coniata da Vincenzo Lombardi per intitolare e dedicare il secondo, fondamentale capitolo del volume, al Settenario e al Teco vorrei. Va da sé che uno scrittore come lui, direttore della Biblioteca provinciale “Pasquale Albino” di Campobasso, con laurea in Lettere e diploma in Flauto e Didattica della musica, forte dell’insegnamento di Educazione Musicale nelle scuole medie e di Etnomusicologia nell’Università del Molise, con numerose pubblicazioni storiche, musicologiche e biblioteconomiche all’attivo, non si limita ad analizzare con competenza i due inni di de Nigris, “fondamentali - come rileva Maurizio Agamennone nella presentazione del saggio - anche per alimentare un possibile senso di appartenenza e lealtà verso il capoluogo molisano da parte dei cittadini”. Lombardi non solo ne “ricostruisce le matrici storiche, analizza la versificazione, individua e descrive le diverse intonazioni musicali con i molteplici assetti sperimentati nella strumentazione e disposizione delle voci”. Ma, è sempre Agame nnone ad affermarlo, “i due inni, e i modi di esecuzione relativi, sono centrali per l’interpretazione critica dei rapporti intercorsi tra diversi ceti, gruppi, personalità e assetti di potere, nonché per la descrizione delle trasformazioni occorse nelle p ratiche devozionali”
Storia della musica e della devozione popolare nella Campobasso degli ultimi due secoli, quindi, ma anche storia tout-court in un volume che abbiamo trovato particolarmente interessante quando analizza l’acuirsi dei conflitti tra clero e laici, tra Curia e Congrega della carità, culminati nella presa di posizione del 1912 del presidente Guacci nei confronti del vescovo Gianfelice, all’epoca ancora residente a Boiano, per rivendicare e salvaguardare lo storico ruolo dei laici nella pratica delle liturgie consolidate, sempre più inviso ai sacerdoti cittadini. È significativo che nella disputa che vide contrapposti da una parte, il cappellano pro tempore di Santa Maria della Croce, Antonino Nuzzi, spalleggiato dai padri Cappuccini, che continuavano ad attendere alle pratiche devozionali secondo le tradizioni avite e le prerogative della chiesa laicale e del grosso della popolazione, e dall'altra, l'arciprete Minadeo che invocava provvedimenti contro coloro che ai suoi occhi apparivano come ribelli veri e propri, gli interessi curiali e dei ceti emergenti fossero fatti propri dalla stampa locale. Ad onta del piglio goliardico e divertito di facciata, i periodici del tempo si accanirono contro il ceto popolare, specialmente i contadini, messi sistematicamente alla berlina e sbeffeggiati per il dialetto, le abitudini e le antiche pratiche devozionali, dipinte sempre come sgangherate e animate da personaggi curiosi dai nomi strampalati. Tuttavia, con buona pace dei Bigi, dei Trofa, degli Eliseo, gli spiritosi gazzettieri, i corifei degli interessi di impiegati e bottegai, i ripetuti conflitti tra vecchio e nuovo, tra i contadini e i ceti abbienti, troveranno sistemazione definitiva solo con la tabula rasa operata dai fascisti e con il giubileo del 1933 che al motto di Recedant vetera! (sia cancellato il passato) farà strame delle tradizioni e degli usi antichi. 
E chissà che non sia da inquadrare in quest’ottica di contrapposizione frontale e classista il mistero dello “zuchetezù”, di cui Vincenzo Lombardi - e non è l’ultimo dei suoi meriti di intellettuale a tutto tondo - propone una soluzione assai suggestiva e condivisibile, che il lettore del volume avrà il piacere di scoprire, insieme alle tante sfaccettature di una identità cittadina che continua a specchiarsi nella musica e nella ritualità popolare. Infine, grazie alle foto di Paolo Cardone, che colgono aspetti significativi della processione del Venerdì Santo 2014, il volume su La Settimana santa a Campobasso, anche graficamente, non solo per ovvie ragioni analogiche e cronologiche, può essere degnamente accostato alla Settimana Santa di Raffaele Capriglione.

- Testo a cura di Giovanni Mascia.
- Foto tratta dalla copertina del volume "La Settimana Santa a Campobasso - Musica e ritualità fra '800 e '900", Vincenzo Lombardi, AGR Editrice, Ripamolisani 2016.
** Esprimo la mia riconoscenza alla Associazione Centro Storico o.n.l.u.s. di Campobasso dal cui sito internet ho attinto gran parte del materiale documentario sulla Settimana Santa di Campobasso.